Possiamo senza dubbio ritenere che l’Illustrazione
Fantastica, così come noi oggi siamo soliti intenderla, sia cominciata a opera
della Confraternita Preraffaellita nell’Età Vittoriana e quindi affermare che
l’Arte Fantasy contemporanea sia
sicuramente un’arte molto giovane, ma nel contempo tanto antica da essere coeva
in spirito al sogno prima classico e poi medievale.
Ai nostri giorni spesso accusati
di barbarie intellettuale essa è, paradossalmente, la sola forma artistica in
grado di rappresentare i miti, gli eroi e i simboli delle più alte aspirazioni
alle quali l’uomo dovrebbe tendere.
Già una visione del
fantastica è presente nelle opere del passato, dove il Meraviglioso e il
simbolo facevano strettamente parte della realtà quotidiana. Bastino due esempi
per tutti: Hieronymus Bosch e Albrecht Dürer .
Per un uomo della Grecia classica o un
pellegrino di Canterbury, l’esistenza di animali fantastici, ancora per fare
un’esemplificazione, era assolutamente normale, certa e coesistente con la sua
propria realtà, anche se questi non aveva mai visto né un unicorno, né una
chimera.
In società fortemente caratterizzate dal Mito e
dalla Religione, come quelle dei secoli trascorsi, il limite tra il Sacro e il
Meraviglioso era estremamente tenue.
Non a caso i nostri avi identificavano il
Meraviglioso con il termine monstruum - da cui l’attuale “mostro” - che non aveva una
connotazione estetica, in quanto indicante semplicemente il prodigio, la
meraviglia. Questa raffigurazione diviene pertanto usuale come nella tavola con
San Giorgio e il drago
di Paolo Uccello o l’Arcangelo Gabriele nell’Annunciazione di Simone Martini. La meraviglia è dunque ancora
parte integrante e non secondaria di una cultura o società tradizionale quali
sono quelle preindustriali.
Noi tutti sovente utilizziamo i termini
“fantasia” e “immaginazione” come se fossero sostituibili l’uno all’altro senza
mutare il senso profondo della frase. In realtà così non è.
Fantasia ha la sua radice etimologica in
“fantasma” o fantasima (come lo usa il
Boccaccio), e da qui la sua aggettivazione in fantastico, fantasioso,
fantasmagorico, eccetera, nei loro più diversi significati. Potremmo allora
dire con un pensiero ardito che la fantasia è la capacità di creare sì, ma
creare fantasmi - o fantasime se più vi piace -, dunque parvenze che potrebbero
essere contingenti proiezioni della psiche e quindi non esistere di reale vita
sovrannaturale.
Al contrario l’immaginazione porta in sé la
radice stessa di imago e questa a sua
volta di di magus, i magi
dell’antica Persia, i Re Magi e dunque della magia stessa che è operatrice di
meraviglie. La magia, intesa nel suo senso più alto e nobile, è pertanto
creatrice e crea immagini vere, non fantasmi.
Vittore Carpaccio conscio di ciò che si cela
dietro il dipinto, ha posto in una delle sue opere un cartiglio che reca la sua
firma latina Victor Carpatius Fingebat. Fingebat, badate bene, non Pingebat. Egli ben sapeva che l’artista crea, inventa, e
dunque finge mentre dipinge.
Il Cristianesimo, contrariamente a quanto avverrà in
alcune parti del vicino Oriente, dopo un breve scontro sul campo, opta per il
mantenimento dell’immagine dipinta - e scolpita - lasciando quella
squisitamente aniconica alle sue grandi sorelle del Mediterraneo. L’arte
cristiana riceve quindi l’eredità greca e latina, ma insieme con essa anche
quella nordica, celtica in particolare, contribuendo così a quel momento di
gran luce intellettuale che sarà il nostro Medio Evo.
L’arte allora era ancora mezzo
privilegiato per la rappresentazione di realtà ultrasensibili o
metafisiche e l’uomo ha sempre usato segni per esprimere concetti.
Il testo scritto è spesso stato abbellito,
arricchito, illuminato da immagini: questo già sui libri dell’antica Roma e poi
sui codici del tempo seguente, sino all’introduzione dei torchi da stampa.
È però con la figura del miniatore medievale che
nasce e si costituisce quella particola forma di arte applicata che è
l’illustrazione. Illustrare infatti, è definibile etimologicamente come “dare
lustro”, porre in risalto, mettere in luce, da cui illuminare, rendere
illustre. Così facendo, nell’Età di mezzo, aumentano di pregio i volumi gravati
in porpora e oro delle abbazie, delle università, dei signori e dei sapienti.
L’assenza di stampa rende necessario e di gran costo l’introduzione di disegni
a corollario di un testo e i maestri miniatori diventano veri e propri tesori
culturali loro stessi, come avviene anche in Oriente con i calligrafi arabi e i
pittori zen.
Il gioco dell’intelletto e della mano del
miniatore diviene fondamentale quindi nel propagare concetti e immagini, quanto
e quasi più della parola scritta. L’immagine è simbolo e dunque parla sempre in
modo diretto e non verbale, non ha la necessità della mediazione
dell’apprendimento scolastico.
Così i primi illustratori, i miniatori, sono
sovente monaci , ma anche e sempre più spesso laici, chierici che introducono
nelle immagini a margine figure meravigliose, talvolta mitiche, o in alcuni
casi orribili e oscene, creando un racconto a lato di un altro racconto. Ecco
così che la mera decorazione di foglie o serti e ghirlande diventa un rigoglio
di creature fantastiche. Grifoni e sirene s’intrecciano lungo i rami del gotico
fiorito sui Libri d’Ore e altrove Lancillotto s’abbraccia con Ginevra tra
lettere istoriate.
Istoriare. Narrare una storia per immagini…
Il legame tra le parole è evidente e non è necessario sottolinearlo.
L’introduzione della stampa
mediante caratteri mobili produce ovviamente una notevole innovazione anche
nella produzione e nella utilizzazione delle immagini legate al testo. Certo il
colore deve essere ancora posto a mano, tuttavia la possibilità di aggiungere
tavole a commento, seppure in bianco e nero, è ben presto chiara a tutti. E
soprattutto con una notevole riduzione di tempo e denaro. I libri,
quattrocentini, cinquecentini, incunaboli, ecc., abbandonano l’essere codici e
diventano il libro così come oggi lo conosciamo. E con essi cresce e si
sviluppa l’Arte Fantastica che così segue il tempo dell’uomo lungo i secoli,
senza mai svanire del tutto in quanto parte integrante e ineludibile della
Cultura umana tant’è che lo stesso secolo dell’Illuminismo razionalista vedrà
giganteggiare uno dei massimi artisti del genere: William Blake.
Dopo la tempesta
Romantica è quindi L’Età Vittoriana che vede affermarsi un nuovo tipo di
visione, d’immagine, che susciterà - oggi ne sorridiamo avendo perso ogni
remora e vergogna - scandalo e polemiche, ma che è la vera madre del nostro
immaginario fantastico. Così è l’Ottocento, l’età della Rivoluzione
Industriale, che consente alla tecnologia di supportare l’arte anche in questo
campo, con la possibilità di moltiplicare ancora l’immagine con minor fatica e
costi. Tutti i giornali dell’Età Vittoriana ormai presentano vignette e tavole
al tratto, molti libri, riviste e volumi in folio.
La fotografia stenta ancora a affiancarsi
all’immagine disegnata o dipinta, ma la sua influenza sul modo di concepire
l’arte del nuovo secolo sarà determinante, e quindi sia la pittura sia
l’illustrazione dovranno tenerne conto.
In un primo momento, ma di breve
durata, è la “Confraternita di San Luca”, nota anche come La Fratellanza dei
Nazareni a riproporre temi pittorici desueti dall’immaginario ottocentesco, con
una riproposizione della tecnica rinascimentale. L’Arte Fantastica, già Fantasy ma non ancora, irrompe nella scena mondiale a opera
di William Morris, Dante Gabriel Rossetti, Edward Burne Jones, William Hunt e
altri pittori, esteti, creativi si direbbe oggi, che si riuniscono in un
sodalizio artistico ben presto denominato “Confraternita Prerafaellita”. Il
Medio Evo viene prescelto da Morris e i suoi confratelli quale età ideale, in
ogni sua manifestazione e aspetto, soprattutto in quello trasfigurato e
metasimbolico della leggenda e delle tradizioni arturiane. Il mito del Graal
riprende nuova vita proprio attraverso le loro immagini, come il sogno della
cavalleria celestiale e terrena, l’amore cortese di Lancillotto e Ginevra si
annoda con la visione di Dante e Beatrice. Il folle, puro ideale prerafaellita
è semplice quanto ambizioso. Fare sì che l’arte nella sua essenza più sincera
possa tornare a essere di tutti così come era nel Medio Evo. Una splendida idea
di Morris, Rossetti e Jones che però resterà inattuabile, dato che i prodotti
creati dagli artigiani prerafaelliti erano troppo costosi per poter essere
utilizzati dalle classi più umili ai quali erano diretti.
Il Fantastico ha attinto a
soggetti di origine o di ambientazione medievale, proprio a cominciare
dall’opera dei Preraffaelliti con il loro bric a brac fatto di arrredi e tendaggi che del reale Medio Evo
hanno l’estasiato profumo e poco altro. Questa riscoperta che compiono Morris e
i suoi confratelli è quasi sempre una reinterpretazione sovente falsa e
artefatta di un vero mondo, ma non per questo deve essere denigrata, come
invece è corretto fare per altri pseudomedievismi di più basso conio.
Abbiamo creato dopo di loro
un’età intermedia mai realmente esistita - un luogo dell’anima e della
meraviglia - più immaginifica dell’originale, con rinnovate forme del
Meraviglioso, rielaborato e ricreato per poterlo forse conservare anche nella
nostra epoca di progresso. Fecero ancora questa operazione di reinvenzione, in
modo arbitrario quanto esteticamente superbo, fior di architetti come Viollet
Le Duc, George Gilbert Scott e Alfredo D'Andrade.
Grazie a William Morris
scrittore nasce il genere Fantasy,
grazie a Rossetti e Burne Jones
prende forma l’Arte Fantastica moderna e dopo verranno gli artisti a noi coevi
ad alimentare la fiamma con nuovo ardore…
Furono loro i prototipi di una sorta di
“anarchia reazionaria” nell’Arte, borghesi mai allineati alla borghesia,
estenuati inventori di una umanità eletta e nel contempo sublime e malinconica.
Il sogno di un’arte come veicolo per l’innalzamento spirituale dell’uomo sembrò
disintegrarsi contro la cruda realtà imperiale britannica.
Eppure non fu così.
Il varco tra i mondi era ormai
stato aperto e nulla più avrebbe potuto richiudere quel passaggio.
Se la produzione artistica finto-medievale
di Kelmscott non ebbe successo, l’onda lunga che generò la corrente
Preraffaellita, l’Art Nouveau, e il
Simbolismo invece continuarono a crescere crescendo oltre l’alba elettrica del
nuovo secolo, superarono la Belle Epoque e la Grande Guerra per rinnovarsi in tutt’altra forma e aspetto nei
ruggenti anni Trenta. Mentre l’Arte Fantastica prende nuove vie in Europa, con
il Surrelismo e il Realismo Magico o lo stesso Futurismo, l’immagine fantastica
erede dell’arte più antica, si sposta oltre Oceano. È il Nuovo Mondo adesso la
matrice dell’immagine e del sogno.
Il preraffaellismo influenzò
l’immaginario del secolo seguente e poi confluì in modo del tutto naturale
soprattutto nel cinema, nell’illustrazione e nel fumetto. Ricordiamo lo stile
con cui si rappresenta l’età medievale nei cartoni di Walt Disney, le tavole a
fumetti del Principe Valiant e il feudalesimo oltremondano di Flash Gordon.
Assolutamente fantastici, quanto non rispondenti al vero storico, ma non per
questo privi di un loro decoro e di una somma dignità di rispetto, amore e
conservazione per il passato reso un luogo ideale e idealizzato.
Ma noi ci occupiamo di Arte
Fantastica, mi si dirà, non di storia, e questo è giusto.
Questo finto Medio Evo finisce
così per essere più vero del vero, perché viene ad assumere una sua realtà
creata dal sogno e dall’immaginazione mediante l’arte, sia essa pittorica o
architettonica.
È lecito interpolare, modificare,
adattare e reinterpretare il tempo della cavalleria, l’età d’oro dei castelli e
della falconeria al nostro gusto odierno, purchè si sia onesti nel riconoscere
che la nostra è una rielaborazione mitica, mitopoietica e favolosa senza
pretese di ufficialità storica e di corretta filologia.
Frequentemente il vasto pubblico
utilizza le tre parole illustrazione, pittura e fumetto come se fossero la
medesima realtà, come se identificassero la stessa cosa. Ovviamente non è così
e il distinguo non è nemmeno troppo sottile
La pittura è oggi considerata
un’arte pura cioè non è soggetta ad altro mezzo espressivo tranne il suo
proprio supporto, vive quindi di sé medesima. Il suo fine può essere il decoro,
l’arredo, il collezionismo, l’esposizione o la semplice espressione emotiva di
colui che l’ha posta in essere.
Anticamente il motore di quest’arte era la committenza, religiosa e
laica, il mecenatismo e infine il mercato stesso e lo "slancio vitale”
creativo dell’artista. La pittura inoltre è svincolata da un testo, anche
quando lo riproduce sulla tela, sulla tavola o su un muro. Da essa, l’illustrazione
prende le tecniche ma si pone al servizio di un’altra forma di comunicazione:
l’editoria. L’illustrazione è anche teatro, visione, artificio, effetto, ed è
dunque un medium immediato e popolare,
per quanto raffinata ed elitaria essa possa essere, inoltre si differenzia dalla pittura anche per un’altra
componente fondamentale, che è quella dello spazio.
Il pittore non si pone limiti spaziali tranne quelli
obbligatori della tela.
L’illustrazione no. Essa, paradossalmente, ha necessità di
avere limiti spaziali imposti dall’esterno per poterli così superare mediante l’immaginazione
creatrice dell’artista. Tali limitazioni
divengono non più confini ma linee guida per l’illustratore, direttive
primarie lungo le quali condurre la fantasia di colui che guarda verso un altro
luogo che non appartiene al nostro spazio e in questo caso si ha una vera e
propria sfida della mente immaginativa contro lo superficie.
Il tempo stesso così, per una tavola illustrata, si muta
in spazio.
Karel Thole, il grande
illustratore olandese, era solito affermare che l’illustratore è un servo
dell’editore. Un modo efficace per dire come questa particolare specie di
artista - o talvolta di artigiano, nel senso più nobile del termine - sia il
diretto derivato del miniatore medievale come abbiamo già detto, ma con il
retaggio tecnico del pittore.
Il libro è infatti l’unico
prodotto industriale in cui vi sia un’anima e un pensiero.
Il compito odierno
dell’illustratore, ovviamente, non è più quello di miniare o di abbellire un
testo, bensì creare un’immagine che dalla copertina del libro comunichi un
messaggio sintetico al possibile lettore e ne favorisca l’acquisizione. Ecco
dunque la parola chiave dell’illustrazione: sintesi. L’artista deve in questo caso rendere in modo sintetico ed efficace,
in una sola tavola, l’idea, l’atmosfera e il soggetto di ciò che è contenuto
nel libro. Non è necessario essere
sempre didascalici, però è sempre bene essere fedeli all’autore, almeno nei
limiti del possibile, mantenendo una sapiente elasticità.
L’unico limite posto a questa
peculiare forma d’arte sono i tempi di consegna.
In questo l’illustrazione ha
conservato la medesima prerogativa della più antica forma di arte pittorica che
prevedeva uno spazio delimitiato, come poteva essere un muro, e il tempo entro
il quale l’opera doveva esseere terminata,
Infine il fumetto: sfatiamo
allora anche l’ultima, persistente ed errata tesi che illustrazione e fumetto
siano la medesima forma espressiva. Al contrario di quanto spesso ritenuto, le
due arti sono forse lontane parenti, ma ancora più opposte l’una all’altra per
principio.
Infatti il fumetto ha per
struttura prima una scansione di immagini successive che si snodano seguendo
una narrazione. Il testo è componente essenziale del fumetto, non è al suo lato
e separabile come avviene per l’illustrazione. Nell’una domina la sintesi, dove
il genio e la capacità dell’artista devono concretizzarsi nell’intuire e nel
riprodurre il tutto in un’unica immagine; nell’altra l’artista può permettersi
un maggior respiro datogli dal susseguirsi delle vignette e dalla
sceneggiatura. Nessuna delle tre forme espressive è superiore in toto a una
delle altre.
Esiste sì, un ordine temporale e
storico, in quanto ovviamente la più antica è la pittura, seguita
dall’illustrazione e infine dal recente mondo del fumetto, con buona pace di
coloro che vogliono trovare antefatti di quest’ultimo nelle pitture rupestri,
nei papiri egizi e in altre espressioni artistiche anteriori alla fine
dell’Ottocento. Tuttavia ciascuna di queste arti annovera grandi figure, e
soltanto poche tra loro riescono a emergere al meglio in almeno due di esse.
La lezione artistica del passato
quindi, non è stata dimenticata, semplicemente ha abbandonato le accademie, le
scuole d’arte e gli stessi musei per essere come dovrebbe essere: alla portata
di tutti.
Purtroppo l’Italia ha anche
spesso perduto le botteghe, unici luoghi dove per secoli di ininterrotte catene
si è trasmesso il sapere da maestro ad allievo a favore di una rinascita nel
nuovo mondo e se dai noi sovente le accademie hanno depauperato una scienza
qual’era la nostra più alta pittura e scultura, in qualche modo, forse, un
disegno superiore ha fatto sì che questa si conservasse in un aspetto conforme
al nostro tempo, con l’illustrazione fantastica le cui tavole sono piccole
porte che si spalancano soltanto per colui che guarda su un oltre fatto di meraviglia, avventura e sogno.
Non sono vie di fuga, ma altri passaggi per vere realtà
alternative e talvolta superiori. Quelle immagini ci portano in luoghi
dell’anima, in terre mitiche dove le battaglie e gli amori sono ancora
splendidi e possenti.
L’artista fantastico è uno
ierofante che, ogni volta che dipinge, intraprende un rito sacro di
ri-creazione del cosmo, come in certe cultura è il cantore colui che crea il
mondo, in altre è un pittore che con colori di sabbia porta l’ordine cosmico
dal caos primordiale.
Pertanto è con la “magia del fare” che l’illustratore apre
quelle porte che William Blake chiamò “le porte della percezione”, spalanca i
portali tra i mondi e lui solo, guardiano, ci consente il passo oltre la
soglia.
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